Sì a schwa e asterischi, se la lingua è inclusiva

Sta facendo molto discutere una petizione firmata da alcuni accademici che si oppone all’uso dello “schwa” e di altri strumenti linguistici di tal tipo, prendendo come pretesto un bando universitario. Nell’appello si parla di “una pericolosa deriva, spacciata per anelito d’inclusività da incompetenti in materia linguistica”, “frutto di un perbenismo superficiale e modaiolo”, che andrebbe anche a discapito delle declinazioni al femminile dei nomi.

Non vogliamo discutere di linguistica, pur ricordando che una lingua è viva quando assorbe gli usi di coloro che la parlano, dunque le loro esigenze espressive e comunicative, e tralasciamo l’insinuazione che si tratti di una richiesta esclusiva di una minoranza. Non sappiamo neanche se schwa o asterischi entreranno stabilmente nel linguaggio quotidiano: solo il tempo potrà dirlo, per quanto ci auguriamo che spontaneamente la nostra lingua diventi davvero più inclusiva.

Tuttavia ci preme affermare che la petizione è irricevibile nel suo dimostrare una completa mancanza di empatia e totale disinteresse nei confronti di coloro che non si riconoscono in un genere. Lo schwa è infatti una legittima richiesta di attenzione, una rivendicazione di esistenza da parte di persone che linguisticamente oggi risultano invisibili.

Sminuire il tutto come pretese folli, ignoranti o fuori dal mondo denota invece l’adesione (anche solo inconscia) alle norme di un patriarcato autoritario che è arrivato il momento di abbandonare una volta per tutte. Chiediamo solo di esistere, niente di più.

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