“Alexis: o il trattato della lotta vana”, recensione del libro che ha inaugurato la carriera di Yourcenar

Genere: romanzo epistolare

«Il mondo, per ognuno di noi, non esiste se non in quanto confina con la nostra vita. E gli elementi che la compongono non sono scindibili: so troppo bene che gli istinti di cui andiamo fieri e quelli che non confessiamo hanno, in fondo, la stessa origine. Non ne potremmo sopprimere uno senza modificare tutti gli altri».

La prima opera di Marguerite Yourcenar, forse conosciuta più per “Le memorie di Adriano” che per questo breve romanzo epistolare, è la testimonianza di un’epoca in cui l’omosessualità era ancora considerata un peccato e di un uomo, un musicista di nome Alexis, che decide di dichiarare alla moglie la propria colpa, in una lunga lettera di confessione. È uno sforzo necessario, anche se non semplice perchè «La vita, Monique, è molto più complessa di tutte le possibili definizioni; ogni immagine semplificata rischia sempre di essere volgare». Nonostante sia datato 1929, questo libro tutt’ora conserva una specie di attualità: la libertà sessuale è parte della libertà di espressione, ma oggi come allora sembra ancora prigioniera di parole-etichetta, oscenità e volgarizzazione. Infatti più che di cedere ai suoi desideri omosessuali, il protagonista teme di perdere la purezza e questo influenza negativamente non solo la sua vita, ma anche quella della moglie Monique.

«Per tutta la vita avevo confuso desiderio e paura; non sentivo più né l’uno né l’altra. Non dico che fossi felice: non ero abbastanza abituato alla felicità; ero soltanto stupito di essere così poco sconvolto. Ogni felicità è un’innocenza».

Ma la ricerca della purezza, salvo i casi rari in cui porta alla santità o al sacrificio per una nobile causa, comporta dei danni. Se la felicità corrisponde alla capacità di assecondare la propria natura il danno di Alexis è l’infelicità.

In fondo, quanti sono davvero innocenti? L’amore non è più simile ad una condanna che ad una salvezza? Quanti matrimoni si basano sull’inganno? Sono queste le provocazioni della scrittrice che, attraverso il suo protagonista, condivide le proprie domande come fossero già risposte nell’animo di chi legge.

Le parole sono selezionate una ad una e nessuna risulta intercambiabile. Non a caso è una delle rare opere che Yourcenar non ha provato a riscrivere. Con la sua penna riesce a raccontare lo strazio, la speranza, la felicità che vola via con una versatilità magistrale. Se il libro non fosse stato della biblioteca, sicuramente avreste sottolineato almeno una frase a pagina.

Consigliato a chi: ama i racconti introspettivi e desidera entrare nei pensieri di chi da tutta una vita cerca di fare pace con quella parte di sé che gli altri ripudiano.

Chi ha letto “Le memorie di Adriano” stenterà a riconoscere lo stile della scrittrice che qui si fa semplice e diretto, senza però perdere quella riflessività – a tratti dolorosa per quanto poetica – che l’ha caratterizzato da sempre.
L’omosessualità e il titolo stesso del romanzo richiamano il “Traité du vain désir” di Gilde, anche se si avverte più forte l’influenza del Rilke di “Malte Laurids Brigge” per gli scrupoli e la religiosità di Alexis, quella tenerezza diffusa che egli emana sulle persone e le cose.
La morale è solo una: non si tratta di amarsi, quanto di capirsi. Tutto il resto è una lotta vana.

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