Come basti essere una persona queer o “sembrarlo” per non essere meritevoli delle Olimpiadi.
Imane Khelif, una pugile, un’atleta e basta.
Tra scandalosi titoli di giornale e commenti violenti si sono riempite pagine e piattaforme. “Una persona trans*, una persona intersex, una donna con disfunzioni ormonali.” Ognunə ha voluto dire la sua, uscire in fretta e fare scandalo e, come spesso accade in situazioni simili, ci si scorda delle persone e dell’unica riflessione che sarebbe il caso di fare.
La realtà è che la stessa Khelif non ha mai dichiarato di essere una persona trans* o intersex. Il punto però è che oggi, nel 2024, basta “sembrare” di essere una persona queer agli occhi della società per non essere meritevole del posto che si occupa. Basta un sospetto, una narrazione, l’esclusione dai Mondiali di boxe del 2023. E poco importa se quell’esclusione è avvenuta per mano del IBA (Associazione Internazionale di Boxe) “governata” da russi filo-putiniani.
Basta il fatto di poter essere ciò che per patriarcato deve essere escluso, messo a margine, umiliato se possibile. Basta essere brav3 e non conformi. In che modo? In tutti, se nella nostra esteriorità ancora meglio. La verità è che l’odio e la propaganda di violenza e discriminazione riescono ad arrivare ovunque, persino e soprattutto in spazi in cui si arriva solo dopo tanto lavoro e sacrifici, per talento e disciplina.
Uno spazio del genere che dovrebbe essere esempio di rispetto, arricchimento attraverso gli incontri tra i popoli, le persone tutte (nella loro unicità), diventa l’ennesima arena di omotransfobia. “Non era un match ad armi pari”, le parole della nostra premier. Chissà cosa ne pensa del ring sociale in cui ogni giorno la nostra comunità e tutte le altre persone marginalizzate si scontrano con un avversario fatto di violenza e di odio. Quando chi ci colpisce ha il volto delle istituzioni.